Diritti Umani e politiche di sostegno
in un’Italia ancora troppo lontana dal poter essere considerata un
paese civile
I Caregiver familiari hanno necessità
di tutele differenti a secondo di come si sviluppa il contesto del
loro lavoro di cura. Semplificando si possono definire due precise
situazioni nelle quali il lavoro di cura del Caregiver familiare si
sviluppa, situazioni che richiedono tutele diverse,
l’una di natura
crescente,
l'altra di natura permanente:
- Il primo contesto (a tutele crescenti) riguarda la cura di una persona con patologia progressiva ad esito luttuoso , comune nelle non autosufficienze acquisite durante l'invecchiamento oppure con patologie estremamente invalidanti, molto aggressive e praticamente senza cura. L'impegno del familiare sarà quindi inizialmente soprattutto di tipo emotivo e psicologico trasformandosi, man mano che la patologia evolve nella condizione terminale, in un impegno totalizzante seppur limitato ad un periodo relativamente breve.
- Il secondo contesto (a tutele permanenti) riguarda invece il familiare di una persona con grave disabilità, fin dalla nascita o acquisita, che non comportando il rischio di morte imminente, richiederà necessità assistenziali imponenti per l'intero arco di vita. In questo caso la necessità assistenziale, man mano che le condizioni della persona con disabilità si stabilizzeranno, devono coincidere con una sempre maggiore presa in carico da parte della collettività attraverso una rete globale di sostegno sia formale ed istituzionale che informale per far sì che il Caregiver familiare sia in grado di sostenere il gravoso impegno per tutta la sua esistenza senza soccombere a sua volta.
Le tutele e i sostegni da offrire alle due tipologie di Caregiver familiari devono essere sostanzialmente diversi non solo perché la situazione oggettiva è differente ma anche perché i supporti necessari agli uni potrebbero essere inutili – se non dannosi ed ostacolizzanti – per gli altri.
DIRITTO ALLA SALUTE:
Un diritto umano inviolabile che ogni nazione civile deve garantire ai propri cittadini. E’ questa la tutela principale per entrambe le tipologie dei Caregiver familiari, pur essendo diverse le modalità per garantirla.
- Il Caregiver familiare a tutela crescente dovrà ricevere un supporto psicologico imponente soprattutto all'inizio ed alla fine del proprio “mandato”. Il supporto psicologico iniziale sarà propedeutico anche per un concreto ed efficiente sostegno del familiare bisognoso di cure che spesso trae forza e coraggio dall'essere affiancato dai propri affetti e dalle persone significative della sua vita. Molto importante quindi attivare e riorganizzare gli strumenti propri di supporto del familiare anche attraverso l’addestramento pratico alla cura del proprio congiunto per non sentirsi impreparati quando le necessità assistenziali diventeranno elevate. Rientra nel diritto alla salute anche il supporto alla elaborazione del lutto che potrà essere veicolato in gruppi auto-aiuto di confronto e sostegno.
- Il Caregiver familiare a tutela permanente ha invece necessità di un’imponente vigilanza sanitaria. Numerose ricerche scientifiche hanno infatti dimostrato come la condizione protratta di Caregiver familiare è una condizione di elevata esposizione a patologie ingravescenti che portano frequentemente essi stessi ad invalidità e morti premature. Non è un caso, infatti, che in tutte le nazioni dove il ruolo del Caregiver familiare è riconosciuto e tutelato si moltiplica la prevenzione loro rivolta. Non è sfuggito, infatti, alle politiche di welfare estere che il ruolo del Caregiver familiare è fonte di ricchezza per ogni Paese. Quindi la tutela sanitaria deve garantire un adeguato riposo del familiare, sottoporlo a periodiche visite di controllo del suo stato di salute ed, in particolare, un periodico rilevamento dei livelli di stress accumulato nonchè l'eventuale riconoscimento e tutela delle patologie professionali acquisite durante il lavoro di cura. Indispensabile deve essere la tutela durante i periodi di malattia del Caregiver familiare che dovrà necessariamente prevedere un'immediata sostituzione per rendere possibile la cura di sé stesso senza conseguenze per il familiare assistito.
Tra i Paesi europei solo in Italia questo è fantascienza, anzi, i Caregiver familiari vengono addirittura esclusi dall’esenzione del ticket sanitario anche se le patologie di cui soffrono sono collegate alla propria funzione per arrivare al paradosso dell’impossibilità di dedurre le spese sanitarie se indigenti!
DIRTTO AL LAVORO
La sentenza della Corte di GiustiziaEuropea Ce 17.7.2008, C-3030/06 ha parificato la condizione di
discriminazione lavorativa del Caregiver familiare a quella subita
dalla persona con disabilità.
E' però più che evidente che in
Italia questa discriminazione non solo permane ma, soprattutto negli
ultimi anni, si è ulteriormente aggravata colpendo proprio e
soprattutto i Caregiver familiari che ancora riescono a fatica a
mantenere un lavoro.
E' importante sottolineare che le
presunte tutele, indicate a titolo d'esempio, sul lavoro del
Caregiver familiare, come i tre giorni di permesso mensili offerti
dalla ex-Lege 104/92 o i due anni di congedo straordinario, seppure
possano sembrare rivolti al Caregiver familiare in realtà sono ad
uso esclusivo della persona con disabilità tanto che se il Caregiver
stesso non è in grado di dimostrare di averle utilizzate in tal
senso, questi è passibile di severe restrizioni (vedi recenti
sentenze).
In realtà si tratta di un mero “prestito”: il datore
di lavoro del Caregiver “presta” di fatto allo Stato italiano la
mano d'opera del familiare nel ruolo di assistente della persona con
disabilità, conservandogli il posto di lavoro.
Un po' come avviene
con i sindacalisti, con i volontari della protezione civile e/o i
politici stessi. Peccato che però, nel caso dei Caregiver familiari,
ogni tutela per la prestazione lavorativa effettuata al di fuori del
lavoro contrattualizzato non esiste, e quindi, a differenza dei
volontari, o dei sindacalisti e degli stessi politici, non gli viene
riconosciuta alcuna forma di tutela sanitaria ne’ previdenziale per
le ore eccedenti il normale orario di lavoro nonostante l’assistenza
si protragga, nel caso delle più gravi disabilità, 24 ore al giorno
per 365 giorni l’anno.
C'è inoltre da sottolineare che queste presunte tutele creano non poche difficoltà nella ricerca di
un lavoro esterno alla famiglia e nel mantenimento dello stesso da
parte del Caregiver familiare soprattutto nel settore privato. Se
sei un Caregiver familiare “dichiarato” l'azienda privata non ha
alcun interesse ad assumere un lavoratore che chiede frequenti
permessi o si assenta spesso ed al primo ridimensionamento del
personale il Caregiver familiare è il primo ad essere licenziato.
Quindi i Caregiver familiari italiani che lavorano nel settore
privato tengono spesso ben segreta la loro condizione di prestatori
di assistenza ai loro cari, rischiando ancora di più la loro salute
e la loro stessa produttività.
Quindi:
- i permessi lavorativi riconosciuti attualmente con la ex Lege104/92 si adattano perfettamente al contesto di tutele crescenti perché permettono al familiare di accudire a seconda della necessità assistenziale il proprio congiunto senza rischiare di perdere il lavoro. Queste aspettative sono in genere tollerate anche nel privato perché, soprattutto all'inizio di una grave malattia, la solidarietà dei colleghi, degli amici e dei parenti è ancora presente e tangibile fino ad arrivare a concrete manifestazioni di supporto.
- Tale solidarietà e comprensione da parte di colleghi, amici e parenti purtroppo ha una durata limitata e questi rapporti diventano nel tempo addirittura gravemente espulsivi quando si parla di una condizione permanente. Infatti i Caregiver familiari di lunga durata sono spesso oggetto di mobbing e di vessazioni discriminanti. Alcune delle tutele lavorative introdotte per armonizzare impegni familiari e lavoro possono essere utilizzate, come il part time ed il telelavoro, in modo efficace solo per i Caregiver “a tempo determinato” mentre è largamente insufficiente per tutti il congedo straordinario di due anni (ampliato a tre anni in maniera estremamente discriminante solo per i genitori dei minori di 13 anni con il recente “Job Acts) oltre a porre il Caregiver familiare che lavora in una posizione di svantaggio al suo rientro sul posto di lavoro non essendo prevista alcuna tutela in tal senso. Sarebbe invece molto opportuna una strada preferenziale nell'assunzione del Caregiver familiare, accompagnata da incentivi fiscali per chi assume. Questo permetterebbe al familiare di prevedere l’interruzione dell’attività lavorativa per potersi concentrare nel ruolo di assistenza del proprio congiunto, per esempio sostenendolo attivamente nel periodo di riabilitazione, e, una volta riattivata l'autonomia o un progetto di vita indipendente, ove possibile, ricollocarsi con facilità sul mercato del lavoro, anche cambiando attività lavorativa addirittura inserendo le eventuali nuove competenze acquisite durante il periodo in cui si è stati concentrati sulla condizione del proprio congiunto.
SOSTEGNO AL REDDITO:
Nella condizione che dovrebbe prevedere tutele crescenti a seconda della situazione, come si è detto prima, non è raro che il Caregiver familiare trovi solidarietà nella rete informale che circonda la sua famiglia. Più difficile è attivare invece i processi formali ed istituzionali che il familiare non ha ancora imparato a conoscere e, soprattutto, a gestire. E' vero però che, soprattutto nell'ultimo periodo della terminalità del proprio congiunto e nel periodo immediatamente successivo, non è una condizione rara l'improvvisa mancanza di un supporto economico spesso indispensabile alla stessa famiglia per rimettersi in carreggiata. Per cui non sono sbagliate, NEI CASI DI TERMINALITA', quelle misure adottate da alcune Regioni a supporto del reddito con una pseudo forma di assunzione a badantato per il Caregiver familiare.
Ma che sia chiaro che tale soluzione è altamente pericolosa ed ha già ricevuto, da parte della Commissione Europea per Diritti Umani, una serie di altolà nel caso venisse adottata come sostegno di lunga durata.
Infatti un eventuale pseudo rapporto lavorativo di tipo permanente tra Caregiver familiare e persona con disabilità oltre che snaturare totalmente il ruolo e l'importanza del Caregiver familiare, violerebbe pesantemente sia i diritti umani del Caregiver familiare che della persona con disabilità.
Perché?
Innanzitutto attribuire un quantificazione monetaria al lavoro di cura porterebbe ad una svalutazione del suo significato di “bene esperienziale” che è, invece, uno dei valori più importanti e fondanti di ogni collettività. Inoltre qualsiasi prestazione lavorativa deve avere delle garanzie inderogabili sull'orario di lavoro, sul riposo, sulla malattia e sulle possibilità di una vita di relazione oltre che prevedere un compenso adeguato, tutte tutele inaccessibili se a svolgere il ruolo di lavoratore è il familiare che convive ed è legato affettivamente alla persona da assistere: come e quando potrebbe “staccare”?
Punto conclusivo ma non meno importante riguarda la rarefazione, fino all'annullamento, dalla rete informale e solidaristica in seguito alla condizione di cronicità e gravità. Di fatto sia la persona con disabilità che il suo Caregiver familiare formano sovente nuclei monoparentali: chiudere in una relazione lavorativa questo rapporto simbiotico sarebbe estremamente deleterio per i diritti di entrambi gli individui.
Tuttavia un sostegno al reddito è indispensabile, perché la condizione di cronicità della disabilità grave è economicamente impoverente per qualsiasi posizione economica di partenza. Quindi vanno studiate nuove forme di sostegno al reddito che portino il nucleo familiare ad aprirsi ed attivare sempre più connessioni relazionali. Per esempio andrebbero attivato un sostegno economico per il tempo libero di entrambi gli attori (persona con disabilità e Caregiver familiare) e forme di facilitazione alla partecipazione civile.
Fino a che tutto questo non verrà attivato anche in Italia, sarà impossibile considerare onorati gli impegni assunti con la firma della Carta Internazionale dei Diritti dell’Uomo ma soprattutto sarà altrettanto impossibile attivare quell’ottimizzazione del Welfare che, in periodi di crisi finanziaria, è sempre più condizionato a politiche lungimiranti di supporto per coloro che il Welfare sostengono quotidianamente col proprio lavoro di cura.
Quanto ancora è lontana l’Italia dall’essere veramente un paese civile?
Leggi anche: IL RAMO E LE ALI
Facciamo in tempo a morire....
RispondiEliminaNon esiste cultura, purtroppo. Io mi sono ammalata dopo 17 anni di cura a mia figlia e ho dovuto lasciare il lavoro con 37 anni di contributi e uns pensione che mi daranno di circa 700 euro. Mio marito lavora nel privato e non ce la fa più. Gli mancanno 6 anni alla pensione e, duole rilevare, che non si parla mai di pensionamento anticipato per lavoro usurante. Se concedessero i 5 anni, per lui la vita sarebbe più leggera. Invece...
RispondiEliminaSarebbe un sogno vedere realizzato quello che ho appena letto,forse con una raccolta firme potremmo pensare di far muovere qualcosa
RispondiEliminabuongiorno a tutti, sono marco e sono padre vedovo di un ragazzo di 22 anni disabile grave. lo seguo da quando è scomparsa mia moglie e lui aveva solo 3 anni!!ora ho 55 anni e 31 di contributi e sono stanco, molto stanco..ma potrò se mai arrverò andare in pensione a 63 anni ma credo sarà dura. Mi chiedo perchè non posso andare i pensione prima, le notte mio figlio non dorme, è sempre più difficile far coesistere casa e lavoro dove si viene visti come usurpatori che non ci sono mai (lavoro nel privato) ed ogni tanto mi chiedo cosa ho fatto di male..esempio: mia cognata è in pensione baby da 30 anni, ne lavorò (eufemismo..) 16 nel pubblico ed ogni mese ha la sua pensione...e la sua salute!!tutto ciò mi rende acido ...mi scuso ma sono proprio sconfortato da questa legge su noi caregivers!!
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