Da
quasi 40 anni in Italia è stato riconosciuto alla persona con disabilità il
diritto a non essere istituzionalizzato.
Una
visione così lungimirante da anticipare di gran lunga la stessa convenzione ONU che ha sancito i diritti delle persone con disabilità.
Eppure
non possiamo non renderci conto del fatto che
questa visione culturale che considerava l’uomo, la PERSONA, nella sua individualità di essere vivente non scindibile dalla generalità delle relazioni sociali, è troppo spesso rimasta su
carta. L'approccio istituzionale all'individuo con disabilità rimane a tutt'oggi prioritariamente incanalato nella sua condizione patologica, arrivando a parlare di "socializzazione" come di una prescrizione terapeutica.
I
servizi assistenziali che avrebbero dovuto sostenere e supportare la permanenza
della persona con disabilità nel proprio domicilio, tra i propri affetti ed i
propri interessi, hanno continuato ad operare secondo una logica residuale,
ossia attivando un minimo intervento solamente quando il nucleo familiare
mostra di non essere più adeguato al supporto della persona con disabilità. Un supporto che, troppo
frequentemente, continua a seguire modalità istituzionalizzanti
(allontanamento, raggruppamento e ghettizzazione di persone con disabilità in
situazioni lontane dall’ambiente elettivo della persona stessa, dai legami
affettivi e/o dai personali interessi).
Questo
è uno dei più grossi ostacoli che una persona con disabilità grave o
gravissima e la sua famiglia si trovano ad affrontare: da parte istituzionale
esiste solo un formale riconoscimento del contesto familiare, percepito ed
esaminato come fosse anch’esso alterato dalla patologia, piuttosto che
apportatore di risorse.
Anche
laddove alle famiglie viene accreditato l’apporto di quei saperi e buone prassi
che hanno imparato nella gestione del proprio congiunto, di fatto la strutturazione ed il coordinamento
dell’assistenza e della gestione assistenziale viene
delegata a figure specialistiche esterne.
E’
come se il consulente specializzato alla quale un'azienda si rivolge per
ottimizzare la propria produzione e ridurre le perdite, rimuovesse l’imprenditore o i dirigenti per
appropriarsi dell’intera amministrazione, secondo una logica massificante.
Eppure
l’obbiettivo cruciale dell’inclusione delle persone con disabilità è stato
individuato: la salvaguardia dei propri legami affettivi.
Il
forzato sradicamento di chiunque dal proprio ambiente produce l’alienazione e
la compromissione dell’energia vitale della persona, a maggior ragione se la
persona è già connotata da una propria fragilità dovuta a limitazioni fisiche,
cognitive e/o psicologiche.
Ma
c’è di più: anche in una visione puramente economico/produttiva
l’allontanamento ed il relegare un problema in luoghi separati, non solo produce
un rafforzamento ed un'esasperazione delle condizioni patologiche, ma riduce fino ad eliminarli gli elementi
evolutivi di una rete sociale che trae dall’adattamento alle criticità le
energie per progredire.
Senza considerare l’alto costo, non
ammortizzabile a livello territoriale, che comporta l’istituzionalizzazione.
Per
questo appare indispensabile individuare nella rete familiare la prioritaria
risorsa per garantire il rispetto dei diritti di vita e di dignità della
persona con disabilità.
una società che non si prende cura dei più fragili e bisognosi... siano essi bambini.. anziani.. disabili.. etc. ... non è degna di chiamarsi UMANA ! ... altro che civile!
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